
Manu Chao – Me llaman calle, 60

Ama, prega, festeggia, svieni, risorgi. Le montagne russe maradoniane. Tra spiritualità e ribellione, ascensione e cadute, in palio la salute, quella di El Diego, portata ancora una volta al limite, per passione. Suonala ancora e ancora e ancora. Il re dello sperpero: del genio e del sé. Argentina contro Nigeria, ma c’è più spettacolo sugli spalti che in campo. Sotto: una brutta Selecciòn, dove Lionel Messi diventa finalmente adulto, facendo la formazione e segnando; sopra – e dove sennò? – lo spettacolo di arte varia maradoniana. Prima, ha incrociato le braccia sul petto, una divinità Inca, per il gol di Messi, ringraziando Dio e lasciandosi incorniciare da un raggio di luce russa; poi le ha allargate da Cristo di Rio in vacanza a San Pietroburgo: e si è preso la scena, il campo, e di nuovo il mondiale. Continua a leggere
C’è una giovane donna sulle scale. Dietro una porta aperta. Quelli che passano guardano le gambe, lunghe e scure, scoperte. Indossa un vestitino intero: leggero, aderente. Fiori a pioggia e spalle libere. Di quelli che stanno bene a poche. Ha capelli corti, arancioni da carota, e viso da bambina. Guarda in continuazione la strada. Oltre il campo di basket, il supermercato coreano, la sopraelevata marcia di piscio e rifiuti alla base. Sopra scorrono le auto. Qualche camion. In giro non c’è quasi nessuno. La sera è calda ma non stringe. Lei ha fretta e aspetta uno stramaledetto taxi. Benitez se la prende comoda come suo solito. Ha un ritardo di venti minuti sulla chiamata. Cochabamba 286. Quartiere San Telmo. Ricevuto. Spenta la radio ha orecchie solo per Joe Strummer. Continua a leggere