Il cinema di Marco Ferreri è un teatro anatomico, dove il motore è la morte. Solo con la morte c’è la possibilità d’indagine. Ogni corpo è una carcassa in potenza, e mentre gli altri, tutti gli altri, si preoccupano di fare un cinema della vita, dell’illusione, Ferreri sventra quelle carcasse, e le porta alla fine, con una dolcezza baconiana, pennella il dolore in colori accesi, allegri, colpendo in faccia gli spettatori, dilatando i desideri e scavalcando il senso del pudore, allargando gli spazi – da quelli della mente a quelli dello stomaco fino a quelli delle metropoli – e tirando dentro la storia umana gli animali come solo Anna Maria Ortese farà nel romanzo. Continua a leggere