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Da Campeonato Sudamericano de Football a Copa America

In un secolo sono cambiate cadenza e modalità, regole e squadre, ma è rimasto intatto lo spirito da torneo piratesco, dove il Paraguay può affrontare alla pari il Brasile e batterlo. Perché in Copa America succede di tutto. E, volendo racchiudere i suoi cento anni in un tweet, parafrasando Gary Lineker – l’attaccante inglese da citare sempre per i mondiali – possiamo dire: è il più vecchio torneo del mondo, dove può succede di tutto e alla fine vince l’Uruguay. Prima di Jules Rimet, un giornalista uruguayano Héctor Rivadavia Gómez, un po’ per sogno un po’ per gioco diede inizio a un torneo tra nazioni sudamericane che non era ancora la Copa ma lo sarebbe diventata (la prima edizione quella del 1916 si giocò senza trofeo, in Argentina e vinse l’Uruguay), fino agli anni 70 si chiamerà: Campeonato Sudamericano de Football. Continua a leggere

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Posizione di tiro

La rovesciata e il colpo di tacco nel calcio sono come i Beatles e i Rolling Stone nella musica, almeno per me, e quindi talonnade e Mike Jagger. La rovesciata è barocca, è un urlo, e infatti piace ai più. Il colpo di tacco è il silenzio nel caos delle aree di rigore. E io sono un tipo piuttosto silenzioso, votato alle cose impossibili – per dire amo l’Athletic Bilbao, da prima che arrivasse Marcelo Bielsa, mi basta sapere che non imbrogliano e che sugli spalti c’è una ragione sentimentale, anche sbagliata e minoritaria ma autentica. È come per le donne e i libri ognuno ha i suoi canoni. Tra i tanti calciatori capaci di colpire il pallone con l’altra punta estrema del piede, c’era Rabah Madjer, algerino, anche lui come Hugo Sanchez, un dispari (ripeto la mia teoria sui calciatori, per gli assenti: ci sono giocatori definiti “pari” come Messi, Cruyff, Baresi, che non solo sono grandi ma hanno anche una squadra apparecchiata, poi ci sono i calciatori definiti “dispari”, cioè quelli bravissimi come Sanchez, Milla e appunto Madjer, che però non hanno la squadra, e poi c’è Maradona che squadra o no, importa poco, è fuori categoria, per dirla con Menotti: “quello che prende una banda e la trasforma in una orchestra”). Continua a leggere

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El fútbol es el único lugar donde me gusta que me engañen

Ho avuto una vita da non lamentarsi, vinto un mondiale, perso l’anima secondo la stampa, sono stato la riserva di Pelé, ho giocato, segnato, sudato, allenato tante squadre saltando da un continente all’altro, guadagnato molti soldi, preso una laurea in chimica, sono stato direttore di un giornale sportivo, ho provato ad essere governatore della Provincia di Santa Fe, non in questo ordine, claro. E se dovessi salvare un giorno salverei ancora quella notte porteña, e rifarei tutto uguale, esclusione di Maradona compresa.  Sono César Luis Menotti, el flaco, quello che fece vincere il campionato mondiale di calcio alla nazionale argentina per la prima volta. Sono quello alto, snello con i capelli lunghi sulle spalle e l’impermeabile. Quello che nelle foto ha la testa alta e gli occhi che guardano di lato, è l’abitudine di chi è stato marcato per una vita. Era il 1978, c’era ancora il muro di Berlino. Sono un dispari, che trenta anni dopo è uguale ad allora, qualche capello di meno, giacche migliori e un mucchio di aerei presi per finire sempre su un prato a ordinare undici uomini. Negli occhi un campo di calcio e in tasca la voglia di vincere. Ma ogni ponte ha il suo punto per essere minato e ogni vittoria si porta dietro una colpa. La mia vita: un album di foto.   Continua a leggere

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