«Io sono uno che scrive», sì, un giornale intero. Da cima a fondo, primeggiando in ogni sezione e scrivendo fuori dal canone giornalistico. Perché Edmondo Berselli incarnava il canone berselliano, una strana forma di scrittura che riusciva a raccontare tutto, ma proprio tutto, senza mai annoiare. Ogni suo articolo è un blob che si trasforma: parte fumetto e diventa cinema bordeggiando il racconto passando dal ritratto senza mai farsi sermone e c’è anche la colonna sonora. Portava lo stupore guardando e restituendo i fatti, le persone, le città, la tivù, le partite, i film, il teatro, e via così, in un lungo elenco di cose che ci stava da sempre, ma sembrava che aspettasse lui per rivelarsi. Aveva uno stile unico, generato e non creato da un percorso strano: da correttore di bozze e lettore infinito, come Quentin Tarantino con le videocassette, un apprendistato solitario e fantasioso che annodava mondi lontanissimi. Continua a leggere