Non sarà né santa né suora, Selvaggia Lucarelli, forse martire, ma senza regalare giorni di festa alle sue omonime sparse per l’Italia. Intanto manda loro il verbo: “Dieci piccoli infami” (Rizzoli), tentativo di raccontarsi come un Bill Murray scritto da Nora Ephron, senza la comicità del primo né la lingua della seconda. Dieci capitoli dall’infanzia all’infanzia passando per amori mancati, parrucchieri maldestri, gite sul Mar Morto e vittorie da Miss di provincia, inchiodando le persone che “ci rendono peggiori”, con l’ossessione comparativa esasperante: questo come quello, in un continuo paradosso iperbolico. L’esagerazione come cifra descrittiva, montagne russe di esempi dove basterebbe una frase, e dove spesso c’è un tempo in più, un aggettivo di troppo, un dettaglio – e personale – che ammicca. Continua a leggere