
Manu Chao – Me llaman calle, 60

Muore l’uomo che mise in bustina i calciatori, che saltava dalle Maserati al formaggio passando per le figurine e il petrolio, attraversava il Sudamerica in motorino con la fantasia nelle tasche e l’ingegno nelle mani: Umberto Panini, l’uomo delle macchine. Il meccanico che capì come imbustare le figurine e creare l’effetto sorpresa oltre che il modo migliore per portarle in giro, il ragazzo che si era perso per il mondo ma seppe tornare a casa per reggere l’impresa: quella di farci completare l’album. Continua a leggere
L’uomo ha un occhio di vetro, il cappello dei New York Yankees, la maglietta del Brasile e mi sta chiedendo se gli ho dato dei soldi falsi, io rido, perché lui è un pirata, uno della folta ciurma che falsifica tutto a Lima, soprattutto libri. Ho appena comprato “El sueño del Celta”, di Mario Vargas Llosa. Quando mezz’ora dopo in una libreria comprerò anche l’originale – sigillato come i nostri cd e col bollino di garanzia – scoprirò che la copia pirata ha una data di stampa precedente. E la storia sembra uscita dalle pagine di Paco Ignacio Taibo II. A Lima puoi anche laurearti con un titolo di Harvard. Basta andare ad Azángaro e chiedere alla persona giusta, e lì te lo dicono con tranquillità: «Tutto, proprio tutto, può essere falsificato». Il Perù è un paese pieno di difetti ma non si può rimproverargli la mancanza di schiettezza, dal razzismo ai falsi, si fa tutto alla luce del giorno, senza vergogna. Quando avevo letto ne “La canaglia sentimentale” di Jaime Bayly dei pirati di libri che gli vendevano i suoi romanzi falsi ai semafori delle strade principali, e lo incitavano a scriverne degli altri, avevo pensato a un’altra invenzione di questo scrittore che vive per raccontarlo, è una telenovela in carne e ossa dove la verità è un falso e i falsi sono la verità. Continua a leggere
Farci credere che sia morto, è questo il capolavoro di Fidel Castro. Come per Keyser Söze, de I soliti sospetti: «La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste» Castro, è morto più volte di un attore di Hollywood, a cinema. Per poi tornare, e dirsi vincitore, di una gara che non c’era. Fidel Castro è morto mille volte, e mille risorto. Tanto che Eduardo Galeano su queste morti ci scherzava, facendone il refrain della sua storia del calcio. Il mondo si muoveva per le morti di Fidel, ogni quattro anni. In realtà ne ha seppelliti molti, di presidenti americani che lo avevano avversato e segretamente cercato di uccidere, di scrittori amici e poi nemici, di nemici e basta e soprattutto di compagni di strada eloquenti, con colpe grandi e piccole, e quando non c’erano (le colpe) ci pensava la stampa a sceneggiarle. La sua ombra si allunga sull’isola, come la sua barba e il tempo risparmiato a non rasarsi e dedicato alla rivoluzione, come disse ad Oliver Stone. I suoi anni sono lunghissimi e lenti, scanditi dalle sue morti. Presunte, inventate, volute, sempre superate, come le malattie e le assenza forzate, mascherate da impegni per il popolo, mai per sé. Persino quando morirà, sarà per gli altri, per il bene di Cuba. Castro ormai è un cartone della sua figura, il protagonista di una telenovela: infinita, con sempre lo stesso colpo di scena: la sua morte. Ogni puntata comincia con la sua morte, e finisce con la sua ricomparsa- è un gioco delle parti, che però avverrà per un numero limitato di volte (forse). Continua a leggere