Italo Calvino: tutti contro il Drago

Ogni tanto qualcuno, scrittore o critico, in una intervista spara su Italo Calvino, raccontandolo come uno scrittore dimezzato. Ci sta, e un attacco a Calvino garantisce un titolo e molte polemiche. Il problema del sentimento anti-calviniano è che appare sempre troppo superficiale rispetto all’Opera calviniana. Prova a bombardala ma ne esce malconcio, tanto da mostrare il tutto come un problema di schieramenti e squadre. Volendo velocemente analizzare quello che manca, viene facile dire che si trascura la sua forza di scrittura che diventa vivacità di lettura (ancora non annoia); si trascura il fatto che sia divenuto al pari di pochi altri – Pasolini, Gadda, Fellini, Dante, Petrarca, D’Annunzio – un aggettivo: ultimamente l’ha usato il New York Times nel ritratto di addio a Oliver Sacks. Si trascura, anche, la sua profonda unicità italica, che affonda nelle favole e nel fantastico – rinverdendone la tradizione – le sue radici di trama, denunciandone l’universalità: quali altre storie potrebbero essere acquisite dalla Disney come Pinocchio e rimanere italiane? O quali altre storie italiane potrebbero persino finire in mano a Hayao Miyazaki senza perdere la loro origine? (su Calvino e l’Oriente si potrebbe scrivere un saggio da “Se una notte un viaggiatore” a “Le città invisibili”). Pensate come viene facile immaginarsi in cartoni animati: “Marcovaldo”, “Il barone rampante”, “Il cavaliere inesistente”, “Il visconte dimezzato”, fino alle “Città invisibili” (mi rendo conto che per i puristi questo sia un punto a sfavore, per me non lo è, anzi mi appare come una prova di forza per quello che penso delle sue storie). Non so come mai questa trasposizione non sia ancora avvenuta, spero che avvenga presto, che i bambini possano scoprire il mondo di Calvino nel modo più facile, quello più naturale sarebbe leggerlo (a me ha cambiato la vita). Forse, un giudizio vero, distaccato, e non un regolamento di conti, si avrà quando saranno morti tutti quelli che l’hanno conosciuto di persona e a parlare sarà solo l’Opera, questo problema lo si intuiva proprio in un racconto della sua morte ad opera di Gianni Celati. In quel racconto si poteva vedere il punto debole di Calvino e la confusione che ne segue. Calvino è stato un potente – parlo di potere culturale – e non è stato un isolato, questo fa di lui uno che ha avuto la vita facile, agli occhi degli insorgenti letterari e degli amanti della nicchia. Ed è stato un pezzo fondante di una grande casa editrice, l’Einaudi come non esiste più (a leggere gli italiani di punta pubblicati e le loro storie viene da ridere). Se a questo sommate il fatto che è l’unico che si legga ancora (quando dico leggere intendo fuori dagli addetti ai lavori), viene fuori il quadro della sua colpa. Un potente che si è assicurato il futuro, con la semplicità – la sto facendo breve – di scrittura. Chi lo ha letto sa che non è così, dietro e dentro Calvino ci sono mondi e videogame, mostri e desideri, immaginazione e storia, matematica e geografia, convivono sempre almeno due tempi, e c’è la grandezza di essere universale: e chi scrive sa quanto sia un grado difficile da toccare, una universalità e una assenza di provincialismo raggiunte senza passare dall’America e dal suo immaginario. A Calvino – e questo infastidisce – è riuscita una impresa da Marco Polo, da Leonardo Da Vinci, così italiani e così internazionali, e gli è riuscita non con naturalezza ma con una ricerca approfondita, e uno studio che oggi sono impensabili. Prima di essere uno scrittore era un uomo di fantasia – non di fantascienza –, di una fantasia collodiana: per questo difficile che cada nell’oblio.

nell’immagine Italo Calvino disegnato da Tullio Pericoli

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