Spettava a lui l’ultima carta a terra. L’asso di spade che gli avrebbe rifinito la primiera e assegnato l’undicesimo punto conclusivo della partita. Mi piegai alla sconfitta con rassegnazione e guardai solo allora il cielo, dove un certo numero di rondini passava a giro. Enrico Caruso sorrise e si fermò a considerarmi più del necessario, registrando con gli occhi la vittoria. Sotto era il mare di Sorrento che con disperse luci e il suono presumibile della risacca rendeva lo sfidante già lontano, come figura tolta al suo consunto mazzo di napoletane. Continua a leggere