Archivio mensile:novembre 2018

Corona, un Ammaniti ubriaco

Con “la testa che bolle come una pentola di fagioli” sotto le “stelle che brillano come braci” e con le voglie sempre in groppa, Mauro Corona – “Nel muro” (Mondadori) –  con un linguaggio romantico completamente artefatto, cerca di scrivere una storia gotica, con una stirpe maledetta, ma ne viene fuori un Ammaniti ubriaco che dirige un documentario di National Geographic fatto in casa. Pieno di rappezzi e avvertenze – questo ve lo spiego dopo, quest’altro poi lo capite, devo andare per ordine – che invece della suspense genera risate, virando verso il grottesco. Continua a leggere

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Resta Piccolo maschio, dove vai?

Con una banalizzazione ancora più formidabile rispetto al solito, Francesco Piccolo aggiorna il racconto della sua vita sessuale. In pratica è l’evoluzione de “La separazione del maschio” con un peggioramento della scrittura e un appiattimento definitivo dietro la rinuncia a qualsiasi movimento oltre la restituzione del sé. Piccolo, e i suoi replicanti, sono la trasposizione letteraria della sala d’attesa. Ecco l’autofiction. Dove un tempo c’era l’ipocondriaco che, aspettando il turno dal medico, raccontava gli scampati pericoli o la signora che si confidava Continua a leggere

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Pif e la leggenda del Santo cazzaro

Se è vero “…che Dio perdona a tutti”, è anche vero che per le ingenuità letterarie di Pif servirebbe un giubileo capace di comprendere anche la Feltrinelli che l’ha pregato per scrivere. Nel percorso di riconciliazione andrebbe spiegato a Pierfrancesco Diliberto che dopo gli Squallor: la ricotta – nonostante sia l’ingrediente principale della pasticceria siciliana – col verbo amare non fa più pensare ai dolci ma alla carne, ma si vede che lui è cresciuto con i tè di Franco Zeffirelli e anche alla Feltrinelli si son persi Alfredo Cerruti. Continua a leggere

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Più crostacei che squali

È giovane, Giacomo Mazzariol, ed è convinto di aver capito che la sua è una generazione di squali, a leggerli e guardarli sembrano più crostacei. Il suo romanzetto generazionale “Gli squali” (Einaudi) ha tutti i canoni del già visto, da Brizzi a Culicchia, con una scrittura al ribasso rispetto ai suoi predecessori, e molte pagine dalle quali si riemerge con perplessità: ogni volta che è chiamato a dare voce alle scene (due di sesso e un quasi inseguimento) le lascia a metà. E non c’entra Carver, anzi Mazzariol parla di Fante, ovviamente a sproposito. Continua a leggere

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