Archivio mensile:luglio 2015

Le mosche prima delle lucciole

Nessuno le sopporta più, le mosche. Anzi, ciascuno si meraviglia che gli altri le sopportino. Ma quand’è che abbiam smesso, noi europei, di sopportare le mosche? Lasciamo andare la Pitta, che è finlandese, e che forse le mosche non le aveva mai viste, prima, ma noi, quando? Dopo tutto dovremmo rammentarla, la nostra infanzia: la carta moschicida, quell’ignobile lista appesa al centro del soffitto, nera d’insetti appiccicati. L’odore acre e disgustoso del flit. Le stalle verniciate d’azzurro. L’azzurro dispiace alle mosche? La frasca intrisa di creosoto. La guerra contro le mosche. Vincevano sempre le mosche. Il tafano, detto anche mosca cavallina. In greco “assillo”. Donde il verbo assillare, che equivale paro paro al toscano tafanare. Continua a leggere

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Quarant’anni di solitudine

Quarant’anni e un giorno dopo, davanti a un trampolino, in una vasca russa, di un palasport a Kazan, Tania Cagnotto si sarebbe ricordata di Klaus Diabasi, tornando a vincere una medaglia d’oro in un mondiale; e di quando suo padre Giorgio gliene parlava accompagnandola in piscina a Bolzano. Sì, è un giorno epico per l’Italia e per i tuffi, Tania si riprende quello che aveva mancato per poco a Londra e Barcellona – «Mi hanno maledetto» urlò –, questa volta no, entra in acqua come una pistolettata, e batte le due cinesi: Shi Tingmao (argento) ed He Zi (bronzo). Continua a leggere

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Don Pallone

Gli hanno fatto una offerta che non poteva rifiutare. E così il presidente dimissionario della Fifa, Sepp Blatter, è finito sommerso dall’ossessione di una vita, in un selfie con la sua ideologia, perfetta sintesi: regnante-regno-ideali. Una pioggia di  banconote ha interrotto la conferenza stampa del suo definitivo ritiro, a lanciargliele è stato Simon Brodkin – per brevità diremo comico –, e mentre lo portavano via ha fatto in tempo a urlargli che erano un anticipo per i mondiali 2026 in Corea del Nord. Continua a leggere

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Ghiggia, l’assassino dei giorni di festa

Più che un’ala destra, dribblomaniaca, era una lama, fin dal nome appuntito che suonava come derivato di scheggia e che pugnalò il Brasile a casa sua nel 1950. Per tutta la vita – come José Arcadio Buendía con Prudencio Aguilar in “Cent’anni di solitudine” – si è portato dietro quell’omicidio, triplice: la nazionale brasiliana, il suo stadio – il Maracanà – e il portiere di quella squadra: Moacir Barbosa. Alcides Edgardo Ghiggia legò il suo nome a un solo mondiale, quello del 1950, gli annodò la vita, e per questo l’ha sciolta nello stesso giorno – il 16 luglio – che lo vide trionfante a Rio de Janeiro, con la sua nazionale, l’Uruguay, sessantacinque anni dopo. In quel campionato del mondo segnò ad ogni partita, e in finale si fece, con Schiaffino, palindromo: Continua a leggere

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Esse come Sorpasso

«Ah, questa sì che è vita», è il pensiero che sta dietro un Sorpasso: supremazia provvisoria, stato e status di euforia e possibile gloria – in presenza di sguardi, meglio se di femmina – ed è, poi, una di quelle azioni che raccontano l’estate. Che cosa è se non un azzardo, una mossa guascona, un rischio cercato, la più bella delle stagioni? Anzi no, come direbbe Bruno Cortona, il Vittorio Gassman immortalato da Dino Risi nel “Sorpasso” e padre di tutti noi: «è la più gajarda de le stagioni». Continua a leggere

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