Un barbaro che urla, gesticola, aizza, e riesce a controllare campo e spalti, calciatori e i tifosi allo stesso modo, con un unico intento: dirigere il presente. Un direttore d’orchestra con un piglio dittatoriale, un ginnasiarca nueva versión: Diego Simeone è l’Attila e il von Karajan del tempo presente, perché nel presente c’è l’adrenalina, di cui si nutre fin da quando a scuola amava essere interrogato quando non era preparatissimo, affrontare quella che era già una fase difensiva, lo gasava. Attaccare stando in un angolo. Arrampicarsi sugli specchi a difesa del poco che aveva e sapeva. Era già tutto lì. E poi, come tutti i barbari, è uno che sta e si sente fuoriposto: sta, perché è oltre nei comportamenti, vale tutto per lui, più di José Mourinho, perché votato alla vittoria con tecnica da guerriglia che sia linguistica, gestuale oltre che tattica; e si sente perché distante dagli altri: non elegante come Carlo Ancelotti, non combaciante col buonismo di Pep Guardiola, e nemmeno con l’algida perfezione vittoriosa di Zinedine Zidane; Continua a leggere