Ancora un giorno. Per Kapuściński è un’altra alba nel 1975 nella guerra civile in Angola. A noi è toccato un calendario con moto perpetuo del Covid.
Quando i russi per la politica internazionale erano in qualsiasi parte del mondo, più di McDonald’s.
Perché se qualcosa ti sta sconvolgendo e non sai dargli un nome, è jazz oppure Cuba: la spina del fianco più resistente e dolorosa per il capitalismo. Come per il calcio mondiale è l’Uruguay.
Cani di razza in libertà, educazione sentimentale per i posti di blocco e identità per la lunghezza della barba. Semiotica della realtà dei conflitti.
Farrusco, il signor 56 palle.
Carlota Machado, una madonna col Kalašnikov, impossibile non amarla.
La fortuna di Kapuściński è che ha attraversato le dittature del novecento senza soccombere, evitando la giustizia sommaria dei social.
Ancora un giorno al cinema è diventato un film di animazione, che rispetta più i canoni della realtà e dell’umanità di una fiction Rai.
Angola, di giorno ti penso, di notte ti sogno. E nessuno di voi, anche se non siete sottosegretari, sa dove sia su una cartina.
Prima al colonialismo l’Africa cedeva sotto le armi, adesso per le cessioni di azioni societarie e Kapuściński dalla prima linea dovrebbe passare a quella del Nasdaq.