Le mosche prima delle lucciole

Nessuno le sopporta più, le mosche. Anzi, ciascuno si meraviglia che gli altri le sopportino. Ma quand’è che abbiam smesso, noi europei, di sopportare le mosche? Lasciamo andare la Pitta, che è finlandese, e che forse le mosche non le aveva mai viste, prima, ma noi, quando? Dopo tutto dovremmo rammentarla, la nostra infanzia: la carta moschicida, quell’ignobile lista appesa al centro del soffitto, nera d’insetti appiccicati. L’odore acre e disgustoso del flit. Le stalle verniciate d’azzurro. L’azzurro dispiace alle mosche? La frasca intrisa di creosoto. La guerra contro le mosche. Vincevano sempre le mosche. Il tafano, detto anche mosca cavallina. In greco “assillo”. Donde il verbo assillare, che equivale paro paro al toscano tafanare. Smettetela di tafanare. Europa punta dall’assillo. L’assillo (tafano) si avventa sul primo pertuso che trova, e ci si vuole ficcare dentro. Da bambino me ne entrò uno in un orecchio. A scuola, per distrarci, acchiappavamo le mosche. E allora, perché non le sopportiamo più? La risposta è: DDT. La data, il ’46. Dunque, ventidue anni che non tolleriamo più le mosche, le abbiamo escluse dalla nostra vita quotidiana, e anche dalla nostra cultura. Non possiamo più parlare di mosca cocchiera. Non possiam più dire zitto e mosca. La sambuca con la mosca comincia a suonare arbitrario. Noioso come una mosca, anche. Non dovremmo neanche più bere il moscato. L’unica mosca dovrebbe essere Mosca, capitale della Russia, dove andremo nel mese di novembre. Per l’anniversario della rivoluzione, guarda caso, in ottobre. E Mosca non ha nulla a che fare con la mosca. Semmai con la Moskva, omonimo fiume, da noi italianizzato a orecchio. Una breve, e mentale, rassegna entomologica, mi ha convinto che abbiamo escluso dal nostro habitat quotidiano quasi tutti gli insetti: non so da quanto tempo non vedo più un grillo né un grillo moro come quelli fiorentini il giorno dell’Assunzione, né grilli canterini come quelli nostrani. I quali non cantavano, se ben rammento, ma semmai suonavano. Strofinandosi le ali sul corpo. Non vedo più formiche, e nessuno dei presenti sa dirmi il preciso significato della parola “cudèra”. Non ho mai visto in vita mia una termite. Non vedo da anni libellule, che noi ragazzini chiamavamo “cavaocchi” convinti sul serio che volessero e potessero cavare gli occhi a qualcuno. Vedo qualche farfalla nelle sere d’estate. Entrano dalla finestra e vanno a bruciarsi le ali sulla prima lampada che incontrano. Vedo qualche vespa, e ne ho terrore. C’è gente che, punta da una vespa, va a farsi l’iniezione antitetanica. Non so di preciso cosa sia la filossera. Mi dicono che gli anticrittogamici ne han fatto sterminio. Ne abbiam spopolato i campi. Abbiamo, ovviamente, tolto il cibo agli uccelli che difatti scarseggiano, e non soltanto per la protervia dei nostri cacciatori. Insomma, ci stiamo preparando a vivere in un mondo privo di insetti. Non tolleriamo le pulci neanche addosso al cane, il quale forse con le pulci vive bene, se notiamo la voluttà con cui si gratta. Male, molto male, un mondo senza insetti, è una dimensione di vita che ci viene meno. Sì, ma intanto, via le mosche dal piatto, qui al ristorante del porto, nella cittaduzza di Mahdia.

[Luciano Bianciardi, Viaggio in Barberia, Editrice dell’Automobile, Roma 1969]

 

Luciano Bianciardi, durante un viaggio nel Magreb – ottomila chilometri a bordo di una 125 – nel 1969, con molta ironia, senza tirarci dentro la Democrazia Cristiana e nemmeno la tragicità del fascismo – a differenza di come farà Pier Paolo Pasolini nel 1975 sul “Corriere della Sera” – affrontava la scomparsa degli insetti, e, chissà perché, tra gli esempi omise le lucciole. Ne avesse scritto, avrebbe cancellato un mucchio di fraintendimenti e magari da quel dettaglio, Pasolini, non potendo scrivere delle lucciole, si sarebbe occupato delle tarantole – ma ne aveva già scritto Bob Dylan nel 1965 che molto lisergicamente anticipava Bianciardi – anzi no; delle blatte – ma avrebbe rifatto Landolfi –, forse avrebbe scritto delle zanzare, delle coccinelle o delle cimici, sicuramente con esiti diversi, magari posticipando la sua morte, perché è sempre lì che si finisce: la morte è una somma di dettagli. Mai sottovalutare il potere degli insetti, lo sapevano bene gli egizi che premiavano i loro generali non con le medaglie ma con delle effigi che riproducevano le mosche, considerate coraggiose per come insidiavano il mondo.

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2 thoughts on “Le mosche prima delle lucciole

  1. […] a queste misteriose rivelazioni come quella di Meneghello o ad epifanie improvvise come quella di Bianciardi, e via con Landolfi, Malaparte, Pasolini, fino a formare una traccia della presenza implicita degli […]

  2. […] 1984 fu l’anno delle mosche. In un primo tempo, per le sequenze in cui era prevista la loro presenza, avevo pensato di […]

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