Cristiano Ronaldo e la felicità traslata

Gioca e vive per essere il migliore, senza darsi tregua. Cristiano Ronaldo è in continuo conflitto con la perfezione, modellando il suo corpo, inseguendo la partita perfetta e portando il calcio a una velocità mai vista prima di lui. Un surfista del pallone che cerca l’onda meravigliosa e intanto cavalca tutte quelle che si alzano. Prima di essere un calciatore è un marine, che mangia come una ballerina e pensa come un pugile. Per questo macina record e gloria, premi e gol. Il suo motore è l’ambizione, i soldi vengono dopo, altrimenti sarebbe già in Cina come gli urlavano i tifosi qualche giorno fa dopo la sconfitta del Real Madrid in Coppa del Re col Celta Vigo. Ma lui non ha paura dei fischi e delle sconfitte, c’è passato già, smentendoli sempre. Ha durezza e lacrime, doti straordinarie che allena allo stremo, con una professionalità che ha stupito persino Carlo Ancelotti: «Cristiano si allenava sempre, era capace di rimanere fino alle tre del mattino a Valdebebas per curare il suo corpo con bagni ghiacciati, anche se Irina (l’ex fidanzata) lo aspettava a casa. Lui vuole solo essere il numero 1». È l’ossessione di essere ogni giorno migliore, Narciso che mostra la sua statuaria greca bellezza costruita con 3000 addominali e 20000 kg sollevati al giorno, e che ha pensato di musealizzarsi:  a Funchal in Portogallo – sua città natia, nell’arcipelago di isole: Madera, in mezzo all’oceano Atlantico – uno spazio dedicato completamente a sé, tra foto, statue e premi, una cosa da Marilyn, Scarlett Johansson e la Nike. Per Jorge Valdano – che lo conosce bene – è il calciatore del XXI quello che discende dalla palestra, a differenza di Messi che viene dalla strada come i precedenti. Ronaldo è l’elaborazione, infatti la sua superiorità comincia sul piano fisico. È imponente, potente, scultoreo senza perdere velocità, ha usato la palestra per triplicare le sue caratteristiche, divenire una elaborazione di desideri, riuscendo a non perdere la natura della sua tecnica, anzi esaltandola. Corre sul campo lasciandosi i suoi marcatori alle spalle – di meglio sulla corsa c’è solo Gareth Bale, che va considerato un suo discendente, poi si vedrà se riuscirà a tenere il ritmo impressionante di gol: 50 a stagione, nelle ultime quattro –, quando si alza in verticale non c’è difensore capace di arrampicarsi con lui, ma anticiparlo è possibile: nelle giornate cattive, quelle dove perde il controllo di sé, è successo in molte occasioni – più con la nazionale portoghese che con i suoi club, però. Col pallone tra i piedi è capace di finte stordenti e soprattutto irridenti, è l’allarme rosso in ogni area di rigore, è una opera d’arte in movimento, uno dei pochi calciatori che sperperando gioco non infastidisce, è un esibizionista pragmatico, un continuo ossimoro calcistico che oscilla tra compiacimento e risoluzione, quando colpisce di testa è un martello, quando calcia sembra avere la precisione dei lanciatori di giavellotto. Il paragone che fanno al Real Madrid è con l’idolo Alfredo Di Stéfano – lo ricorda sempre Valdano – «ricorrono sempre alla stessa immagine: Di Stéfano salvava il gol nella sua porta e nell’azione successiva andava a segnare in quella avversaria». Uno di questi giorni vedremo Cristiano battere un rinvio dal fondo, spizzare il pallone al centro del campo e segnare, senza l’aiuto di nessuno. E in futuro lo racconteremo con la stessa ammirazione con la quale oggi si raccontano le prodezze di Alfredo». Sembra un Achille prestato al pallone, ha un solo punto debole, no, non il tallone, ma certe pieghe che prendono le partite sotto l’influsso della sua emotività, una sorta di gorgo che lo avvolge e disperde, portandolo lontano dal gioco, allora si dimentica della squadra, comincia a forzare senza ragionare, una versione viziata dell’“alma lusa”, l’anima lusitana, eccesso di malinconia. È sempre lui a regolare le sue prestazioni: nel bene e nel male, è l’abilità del leader: che passa il pallone solo quando è allo stremo, quando non ne può fare a meno.  Ronaldo è la vera faccia del pallone: spietato, patinato e potente, per lui si è rimessa in discussione una votazione del pallone d’oro, ai danni del povero Ribéry, per sanare una grande ingiustizia se ne è commessa una minore. Ora che in bacheca ha quattro palloni d’oro, e sembra guardare al rivale Messi con una pacificazione dovuta più all’età che alla risoluzione del conflitto, sembra diverso anche in campo: sarà che ha finalmente vinto l’Europeo – anche senza giocare la finale più da allenatore che da calciatore  – dimenticando quello perso in casa con la Grecia. Sarà che da quando è al Real Madrid ha segnato quasi un gol in ogni partita, il che significa esserci sempre, nella buona e nella cattiva prestazione. È allo stesso tempo un costruttore di miti e di riti: ogni partita è un aggiornamento della leggenda, e ogni gesto un compiacimento suo e di chi lo guarda, a cominciare da come prende la mira prima di calciare le punizioni, divarica le gambe ostentando sicurezza e sciogliendo i muscoli. La sua è felicità traslata, rimanda se stesso alla prossima giocata, al prossimo cross, al prossimo gol, al prossimo titolo, al prossimo trofeo. È un gioco con una catena di eventi che lo vedono protagonista assoluto, una somma di emozioni – sue e di chi gli sta intorno – che sintetizzano l’inquietudine che si porta dentro, e che va sciogliendo e illustrando per i campi del mondo, come se fossero porti. Ronaldo vive nel conflitto e nella ricerca è il creatore, la scena e l’attore, in una dispersione da Pessoa.

foto di Gonzalo Arroyo Moreno

[uscito su IL MATTINO]

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1 thoughts on “Cristiano Ronaldo e la felicità traslata

  1. […] elefanti legati da un filo di lana. Dai dribbling in bianco e nero di Kopa a quelli al ralenti di Cristiano Ronaldo, passando per i movimenti mozartiani di Butragueño, e la capacità di segnare sempre e comunque di […]

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