Che cosa ne sarebbe stato di Vincenzo De Luca senza la pandemia? Avrebbe dovuto lottare, e molto, per convincere il Pd a ricandidarlo, il Movimento Cinque Stelle non lo avrebbe appoggiato e si sarebbe aperta una sperimentazione politica, invece, con la pandemia il governatore della Campania si è ritrovato con un potere enorme – essendo stato anche commissario della Sanità: quindi controllore e controllato – e con il silenzio totale dell’opposizione in consiglio regionale e anche fuori: dove il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha scelto di insorgere per le pastiere, e poi timidamente per le librerie, insomma, poca cosa per uno che diceva di puntare ad essere l’avversario di De Luca. Dalla qualità della polemica si capisce anche il contesto nel quale si muove l’ex sindaco di Salerno. Ormai candidato unico e vincitore in pectore. Nel giro di poco un grigio funzionario del partito comunista, dopo aver amministrato con modi staliniani, si è trovato alla ribalta, imponendo un linguaggio repressivo che ha sposato la paura della gente, facendosi paladino dello stare a casa, inasprendo le direttive del presidente del consiglio, imponendo un coprifuoco che a Napoli non si vedeva dai tempi della seconda guerra mondiale – con molte più slabbrature – e giustificandolo con dirette tele-social che tenevano insieme l’avanspettacolo, il peronismo e il folklore, tanto da finire nelle tivù di Giappone e Usa. De Luca ha una oratoria da comizio anni Sessanta, i suoi consigli letterari ne denunciano la provenienza classica – qualche settimana fa caldeggiava la lettura di Ignazio Silone, che non leggono più nemmeno le professoresse d’italiano, ora tutte ferrantiane – il suo respiro è da endecasillabo e il suo tono da sindacalista assediato che spiega il mondo ai contadini, indica la strada, e promette terra e lavoro, trattandoli come bambini. Adesso, nelle dirette, la gente lo segue sui social come i piccoli siciliani guardavano e si abbeveravano alle parole dell’avvocatone durante l’arringa di “Divorzio all’italiana”. Nel mondo di Conte e Di Maio che hanno un respiro da Twitter, con frasi brevi e con un linguaggio limitatissimo, De Luca, svetta per sicurezza di toni, costruzione della frase lunga e per come fa risuonare il suo italiano da preside, farraginoso nelle orecchie di chi legge ma coltissimo per chi ascolta solo i tweet o gli slogan. De Luca è un artigiano dell’oratoria, uno che sa mischiare il dialetto con Cicerone, una sorta di Lotito che non sbaglia citazioni ed ha, però, il riflesso di quello che è abituato a comandare e, soprattutto, ad andare, perché dice di sapere cosa c’è all’orizzonte, tanto che quando Fanpage coinvolge il figlio in una ipotesi di reato – una fiction web-giudiziaria – tira dritto, anche se il mondo intorno sembrava stesse cascando, perché in De Luca convivono ripetute visioni steno-monicelliane e quindi una vasta gamma di reazioni con corredo di albagia, tirannia e colpi di scena; ignora il cinema di oggi, ma controlla bene la tivù, perché viene da anni di dirette molto provinciali, di una televisione condominiale dove giocava a fare il Fidel Castro di Salerno: ore di monologhi che divenivano sottofondo del quotidiano notturno, trasformandolo in una voce di famiglia: un po’ da ascoltare e un po’ da prendere in giro, insomma, oscillava tra santo patrono e cazzaro da bar. Per anni si è esercitato tiranneggiando la sua città con un centralismo poco democratico e molto efficiente da sindaco-padrone-prefetto che gli permetteva di controllare in modo maniacale – dalla spazzatura alla prostituzione – Salerno, e poi di giocarsi quel modello come biglietto da visita per la guida della regione Campania. Ma, come era già accaduto ad Antonio Bassolino, il salto da città a regione non era andato bene: la gestione di un territorio vasto e non uniforme, con fortini di potere differente, gli stava dando torto, senza la pandemia nessuno si sarebbe ricordato della sua amministrazione se non per la capacità di far scomparire tutti gli altri membri della giunta e del consiglio, in un accentramento d’immagine e onnipresenza di stampo sudamericano. Ma De Luca è molto più complicato, è di fatto un politico raro perché coacervo: in lui convivono le uscite alla Razzi ma ad un livello più alto, non si troveranno errori nella coniugazione dei verbi o nell’articolazione dei pensieri ma delle scivolate – più o meno volute – di provincialismo, un po’ sagra e un po’ sezione di partito del Pci – piene di ironia, a dispetto della narrazione – un po’ venditore di piazza, con il latinorum da liceo classico, un pizzico di Dante e quindi della sua visione con contrappasso e tanto Totò, anche se frainteso altrimenti non avrebbe fatto il politico a vita, ma acquisito al punto giusto per prendersi gioco degli avversari riducendoli a spalle e vessandoli senza schiacciarli; poi c’è la vena stalinista – ampiamente mostrata negli anni da sindaco – che lo porta al decisionismo in questi mesi pandemici, il piglio da guerriero di Sparta dietro la scrivania, e, infine, il Perón con le cozze; si vede che ha avuto modelli a sinistra, che è passato per tante discussioni che l’hanno portato all’accentramento decisionale, che ha letto Gramsci ma che ha lasciato a metà Carlo Levi, che ha trascurato Rossi-Doria (Manlio) e che non sa niente di Danilo Dolci e Sciascia, ma conosce l’ostinazione divittoriana, e i ragazzini del Pd – forse – direbbero che non sa di Alessandro Leogrande; vorrebbe essere la voce del Sud ma manca di un linguaggio contemporaneo, ragiona senza la portata del Mediterraneo – non sa proprio chi sia Predrag Matvejević – e quindi oscilla tra la candidatura a un David di Donatello e quella a ministro degli Interni. Vanta diverse imitazioni, tutte al ribasso come ha capito Carlo Verdone, non puoi imitare un personaggio così, una iperbole a catena, senza uscirne ridicolizzato, che è quello che è accaduto a Crozza, divenuto megafono: la gente vedeva l’imitazione, cercava l’originale e poi rimaneva sintonizzata con la versione integrale e gli inaspettati comizi tra Sud e Magia e il Bagaglino. Il preside(nte) De Luca è diventato meme, videogioco, icona e pagliaccio, per il mondo dei ragazzi del liceo che tiene in casa e vorrebbe prendere col lanciafiamme, lui urla e loro lo paraculano, lui ordina e loro vanno di meme, lui impone e non consente in nome di una Sanità che prima ha trascurato e ora dice di aver reso efficiente e loro lo mettono in una canzone e video di Frankie hi-nrg come prima era stato il vecchio brontolone dei Muppet. Tutto brodo. La somma è un demone politico che si è mangiato avversari e dibattito, un cannibale che si è annesso buona parte dei media e la maggioranza dell’opinione pubblica: che lo vede come il conductor perfetto, l’uomo forte nel tempo debole, e lui, conscio del ruolo e della forza che cresce in modo trasversale, accelera: alla gente di sinistra propugna una sanità efficiente – che è una bugia da Potëmkin – e un credo nella scienza che li inorgoglisce e illude; a quella di destra mostra un controllo del territorio ducesco con una piramide di efficienza che comincia e finisce nella sua stanza; ma questo verrà raccontato dopo, intanto tutti a casa che nel pomeriggio c’è il discorso del presidente, con la Campania che rassomiglia all’Iran di Khomeini: propaganda e orgoglio.
[foto di Ciro Fusco]
CHE BELLA PENNA!
Non credo che potrebbe indicare la lettura di Silone..Silone in “scuola di dittatura”descrive molte bene questi personaggi dispotici…tra l’altro in ” Severina” altro libro che oggi tutti dovrebbero leggere ,l’autore pone in bocca al personaggi, appunto severina” prima la verità o l’obbedienza al potere”detto questo credo che Silone sia ancora attuale….
Alfonso, non scrivo niente a caso, se cerchi trovi il video dove De Luca indica le letture da fare: Silone, Levi e il Vangelo. Sono un grande lettore di Silone – in questo blog trovi diversi pezzi – e proprio per questo che so che non è letto e che è morto veramente – ma non vuol dire che non sia attuale, anzi, lo è in modo impressionante e proprio per questo mi tornava utile come dato della evidente lontananza dalle librerie di De Luca. Poi che lui sappia della lotta contro lo stalinismo di Silone finendo per incarnare un probabilissimo suo avversario non so. Ma so che girando tra le scuole scopro che i professori del liceo sono scarsetti su Silone, poi ognuno di voi dirà che lui ha letto Silone ed è un grande ammiratore e sa tutto, sentendosi «un socialista senza partito e un cristiano senza Chiesa», sarà, ma io continuo ad incontrare professoresse di liceo che sono più preparate sulla Ferrante e De Giovanni, tanto che se dicessi Secondo Tranquilli nessuno risponderebbe.