Ronaldo Luís Nazário de Lima, O Fenômeno,

È come se dicessero che lascia Willy il Coyote, che Diabolik non entra più nella tuta nera e mette il pigiama, i bambini e i tifosi sono portanti a pensare che tutto abbia un seguito, e che i supereroi e i pupazzi non smettono mai di giocare. Ronaldo Luís Nazário de Lima, O Fenômeno, eterna faccia del bambino sorpreso dalla vita, piange, proprio perché smette. Forse nemmeno ci crede, forse nemmeno lo vuole davvero. Si è solo arreso al suo corpo, che non è di gomma come il suo calcio lasciava pensare. Si è arreso alla gravità. L’abbiamo visto aggrapparsi come un vecchio Alì mentre scendeva la scaletta di un aereo –  e quando tutti dicevano: si è rotto, è tornato, ha vinto un mondiale, e si è fatto portare in processione: uno strano santo samurai  –, l’abbiam visto attraversare i campi come strade segnate, abbattere difese passando a velocità superiori, segnar gol con traiettorie al limite della fisica e della geometria, e ora lo vediamo piangere: il primo vero calciatore industriale, uno che produceva gol con ritmo da catena di montaggio, sembrava non dovesse mai smettere: abbandona il calcio, per stanchezza, tradito dal suo corpo e contestato dai tifosi. Grasso e triste come un pugile. Quando arrivò all’Inter era la metà di quello che ora con i colori del Corinthians annuncia l’addio: “Penso a una azione ma non riesco a farla come vorrei”. Eppure, era stato capace di andare oltre le cicatrici e i bisturi, i pezzi del tendine rotuleo, gli ospedali, il tempo e gli scudetti e le partite perse, le lacrime sul campo – diverse da quelle in conferenza stampa – e il dolore,  dicendo, come un reduce: “questo sono io”. È un reduce sembrava, sui campi brasiliani, come tutti quelli che tornano a casa aspettandosi la gloria delle imprese fuori dai confini e trovano la normalità che li aveva fatti imbarcare. Perché non calcolano il tempo. Lui, poi, da fumetto con la velocità ha ballato a lungo, ignorando gli anni, e quando si è dovuto fermare, perché non poteva reggere il passo, non ha avuto la forza di rimettersi a correre. È partito giovanissimo per l’Europa, ha giocato prima in Olanda (Psv Eindhoven),poi in Spagna (Barcellona e Real dopo) e in Italia (Inter e Milan). Ha vinto un mondiale (record di reti segnate nella fase finale), due volte il pallone d’oro. Ronaldo sfilava tra coppie di difensori che non facevano in tempo a chiudersi per ostacolarlo, faceva le cose di Zico in 3D, ha anticipato Messi nei dribbling e l’altro Ronaldo quello più bello ma meno forte nei tiri da fuori. Specialità sua, incubo dei portieri. Un puma diventato bradipo. Ma sempe un supereroe, un fenomeno da circo di provincia, un pupazzo, che deve avere sempre il suo universo. Che resiste anche ai fischi, poi un mattino si guarda allo specchio e dice: basta. Manuel Vázquez Montalbán, che non lo amava, scrisse: “non è un giocatore, è un prodotto liofilizzato, messo sul mercato dalla fifa”. Dimenticando che Ronaldo appartiene al mondo dei bambini, che impazzivano per lui, ora staranno dietro a Rihanna e Lady Gaga. Era un bimbone brasiliano, che veniva da Bento Ribeiro, periferia di Rio, e si era smarcato dal padre ubriacone, non dalla mamma apprensiva. Nessun campo e nessuna vittoria l’hanno fatto diventare uomo, bastava vedere come si teneva il pallone ai piedi e non voleva mollarlo per capire che non era cresciuto. L’unica cosa che gli riusciva, giocare con la palla, pratica appresa prima di parlare, l’ha fatto tardi, a quattro anni, prima nessuna parola solo calci e pipì a letto. Ora, ha scoperto i limiti del tempo e del suo corpo, ha smesso di aspettare il mostro per combatterlo, ha convocato una conferenza stampa, gli ha detto: hai vinto, ed è uscito dal gioco.

[scrissi questo pezzo per IL MATTINO quando Ronaldo lasciò il calcio, sì, era uno dei miei preferiti]

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6 thoughts on “Ronaldo Luís Nazário de Lima, O Fenômeno,

  1. Alfredo Gambarota ha detto:

    Il vero fenomeno.
    Mi ricordo che piansi quando lascio’ l’Italia .Tecnica incredibile ad una velocità supersonica.Inarrivabile.

  2. […] avrei scommesso tutto su el gordo Ronaldo e su  el niño Ronaldinho. Entrambi, però, mi hanno fatto ricordare un episodio che Jorge Valdano […]

  3. […] ultime edizioni della Copa, da allora è a digiuno. I bienni successivi furono brasiliani, c’era Ronaldo, anche se in quella del ’99 tutti ricordano i tre rigori sbagliati da Martin Palermo: un […]

  4. MEXICANJOURNALIST ha detto:

    […] dal 2002 quando in Asia batterono la Germania con l’ultima grande generazione di campioni: Ronaldo (quello vero), Ronaldinho (l’ultimo con la ginga), Rivaldo (triste ma con una visione), Cafu e […]

  5. […] sangue, ma mai, mai di vergogna». È la maglia di don Alfredo Di Stefano, di Hugo Sanchez e di Ronaldo (quello vero). Gli ultimi due sono stati attaccanti diversi tra loro, ma uniti dal divertimento, e […]

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