Menotti: ordine e avventura

441409600_1505638216714375_7454677684252737203_nC’era un passaggio già nei giorni della sua nascita: era nato il 22 ottobre ma lo registrarono il 5 novembre, il tempo che suo padre arrivasse da Tucumán a Rosario, con calma, fumando. Era strategia. Nasceva il Menotti-smo. E c’era già una ruleta a tavola, quella di una famiglia peronista, dove si discuteva tanto di politica tra scissioni sentimentali e preferenze: suo padre amava Juan Domingo Perón ma non Evita e sua madre au contraire: tutto per Santa Evita niente per Perón. La colonna sonora era Carlos Gardel, fidanzato con la zia Isabelita, poi venne Osvaldo Pugliese e la crisi delle orchestre di tango creò la prima ruga sulla fronte del giovane César Luis Menotti che doveva diventare pianista, poi chimico, invece finì calciatore por dinero. Andando a giocare, una quadra e mezza da casa sua incontrava il segretario del partito comunista argentino Florindo Moretti: palleggiando diventò marxista. Continua a leggere

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Non è un film

435216306_963411878790439_1925720337314391348_nNon lo so perché hanno applaudito i ragazzi della scuola media “Maiuri” alla proiezione di “Fortapàsc” di Marco Risi quando viene ucciso Giancarlo Siani interpretato da Libero De Rienzo. Quello che so è che forse a quei ragazzi non è stata spiegata bene la storia, non sono stati preparati – la scuola italiana è bravissima nel non dire – oppure non hanno capito che non è solo un film. Continua a leggere

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Perr: immediatezza, dettaglio e un mucchio di vita

Roberto-Perrone-©-Emanuela-Carbone-Con Roberto Perrone non se ne è andato solo uno scrittore e giornalista sportivo, no, ma un mondo che allacciava gli stadi alle tavole. In quel mondo chi raccontava lo sport non aveva nemmeno un ricordo banale, ma un lungo elenco di storie assurde che lo portavano a conoscere i migliori ristoranti e le malevite che ci pranzavano, fino a sapere come stessero i topi in cucina. Perrone aveva raccontato calcio, tennis, nuoto, cibo, braccia, gambe, teste e città. Per brevità. Apparteneva agli immediati – quelli che scrivono ovunque e comunque – e che anche nel caos acchiappavano il dettaglio. Poteva dirti che i colpi di John McEnroe erano carezze alla palla e quindi silenziosi; o parlarti della caviglia di Novella Calligaris e di come il cloro l’avesse modellata; Continua a leggere

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Limonov: LA TANA E LA PATRIA

161582080_4424999137517247_8703963792194849994_nĖduard Limonov era un uomo in rivolta che amava la sua Russia e ne combatteva le incoerenze e i tantissimi difetti. È riuscito a rimanere giovane, libero e contraddittorio fino alla fine, una figura sfuggente, a dispetto di quelli che han letto solo il libro di Emmanuel Carrère, uno scrittore vero e un poeta di cui nei prossimi anni si continueranno a leggere ed imparare i versi. Ho ricopiato questo racconto di quasi un ventennio fa perché conserva ancora tutta la sua forza di pensiero, l’irriverenza e la crudeltà di parola che usava per svegliare i russi. C’è il suo concetto di Patria e ci sono i suoi giudizi su una Patria mancante.

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Ultimo viene Simeone

432540470_965680758256034_2812867476514346559_nUn barbaro che urla, gesticola, aizza, e riesce a controllare campo e spalti, calciatori e i tifosi allo stesso modo, con un unico intento: dirigere il presente. Un direttore d’orchestra con un piglio dittatoriale, un ginnasiarca nueva versión: Diego Simeone è l’Attila e il von Karajan del tempo presente, perché nel presente c’è l’adrenalina, di cui si nutre fin da quando a scuola amava essere interrogato quando non era preparatissimo, affrontare quella che era già una fase difensiva, lo gasava. Attaccare stando in un angolo. Arrampicarsi sugli specchi a difesa del poco che aveva e sapeva. Era già tutto lì. E poi, come tutti i barbari, è uno che sta e si sente fuoriposto: sta, perché è oltre nei comportamenti, vale tutto per lui, più di José Mourinho, perché votato alla vittoria con tecnica da guerriglia che sia linguistica, gestuale oltre che tattica; e si sente perché distante dagli altri: non elegante come Carlo Ancelotti, non combaciante col buonismo di Pep Guardiola, e nemmeno con l’algida perfezione vittoriosa di Zinedine Zidane; Continua a leggere

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