Bearzot, prière d’insérer

Enzo BearzotUn patriarca da famiglia contadina: una sola parola, una sola faccia, un solo sguardo, intorno il silenzio. Enzo Bearzot, sergente del calcio passato per il Carso, schivo come Ermanno Olmi, imponente e lapidario come Rigoni Stern. Un difensore, un allenatore, timido, ruvido, che badava al sodo, che faceva del rispetto dell’altro – prima della vittoria – una religione. Il naso schiacciato da pugile, la pipa di sbieco, l’aria di chi non vede l’ora di andarsene, il maglione a girocollo da cantautore francese avvitato attorno al suo fisico da chiodo. Era stato con Rocco, piaceva a Brera e Pertini, aveva inventato Cabrini, resuscitato Paolo Rossi, fatto da padre a Bergomi e Conti, aveva portato l’osteria su un DC9 e nella notte di Madrid. Spiritoso, distaccato, burbero, mai cialtrone, mai fuori posto in quei due stati bugiardi che sono vittoria e sconfitta. Per capire quanto tempo è passato dalla sua vittoria e dalla sua ultima Italia, ci si poteva ancora tuffare nel Tevere per festeggiare, non c’erano le telecamere negli spogliatoi e le partite erano sintesi non palinsesto. E si soffriva per Alfredino Rampi. Rino Gaetano non lo reggeva più, ma forse solo perché il suo nome suonava, come la sua faccia: seria, ossuta, rassicurante, azteca. Un provinciale, per questo sapeva stare ovunque. Non si è montato la testa nemmeno dopo aver vinto il mondiale, aver battuto una delle squadre più belle di quegli anni: il Brasile di Socrates, Junior, Falcao e Zico. E non perché non era cosciente della sua bravura, o perché era già “Vecio”, ma perché era abituato a non prendersi mai sul serio. Veniva da un mondo dove vantarsi era volgare, parlarsi addosso da stupidi, c’era sempre di meglio da fare, questioni più alte da affrontare. Altra cosa dal bar sport e dal calcio che sono venuti dopo, con Berlusconi e Sacchi. Dietro di lui c’era il mondo de “Il prete bello” di Parise, c’erano gli oratori, e il pallone che non era un punto di arrivo ma un ripiego, da quasi vergogna. Un gioco, dove se dicevi borsa si pensava a quella del ghiaccio non al NASDAQ. Bearzot era uno da prima Repubblica, che si era auto-esiliato  uno che non andava in tivù a commentare, preferiva le carte, uno che non diceva facilmente male, e non perché non avesse giudizi pungenti, ma perché non si fa, uno da fioretto, lo vedete a litigare? Ha alzato la voce solo una volta: a Spagna ’82, e aveva ragione lui. Uno che non sbaglia una marcatura, come una calata di carte, merita rispetto. Nella faccia aveva trattenuto il fango dei campi dove aveva giocato, i calci che aveva preso, le bestemmie che aveva bruciato in bocca. Portava la giacca poggiata sulle spalle, come se andasse in piazza e non sul campo, era spavalderia, una inattuale attività, e anche un modo di esibire il grado di saggezza. E le sconfitte erano ricordi come altri, mischiati al mazzo dei giorni, come le bollette da pagare, i giornali da comprare. Era un uomo normale di cui l’Italia aveva nostalgia, ma Bearzot aveva desiderio di un altro paese, che non riconosceva. Di cui il calcio era voce grossa, sguaiata, espressione distorta di valori andati perduti. Sembrava triste, era solo schivo: il suo modo di difendersi. Giovanni Arpino ne fece un personaggio da romanzo, anche lì ne usciva bene. Oltre lo sport. Aveva una regalità rozza che veniva dalle sere passate a parlare di guerra e fame, non conosceva il cazzeggio, non temeva le rughe come la Magnani, con Zoff (quello che gli somiglia di più tra gli azzurri mundial, l’unico che gli dava del tu) era una partita a scacchi più che a scopone, per passarsi i silenzi. Aveva la testardaggine, comune alla sua generazione, che lo portò al fallimento dell’Ottantasei, ma lì c’era l’uragano Maradona, e Gentile congedato. Era un Carnera con più vita e meno chili e centimetri, un Thomas Bernhard seduto in panchina: una sola voce, divenuta ombra.

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4 thoughts on “Bearzot, prière d’insérer

  1. dr. Gonzo ha detto:

    nella famosa partita era piombo a denari, ma Zoff e il tressette sono mondi agli antipodi, come Zeman e il fuorigioco,

  2. […] «Il privato è privato, altrimenti sarebbe pubblico», interrogato da tv e giornali sulla sua storia d’amore con la presentatrice di Sky Sport, Ilaria D’amico, così rispondeva Gianluigi – che tutti chiaman Gigi – Buffon, e uso questa espressione non so più se manzoniana o del trio Marche­sini Solenghi Lopez – una linea d’attacco niente male per i loro anni –; perché ho sempre pensato che I promessi sposi fosse il libro italiano che ci contiene tutti e anche un libro “sorte” di quelli che apri a caso e trovi la frase che ti conforta o serve, io lo faccio con l’Ulisse di Joyce, perché amo il calcio irlandese, però conosco gente che lo fa con Manzoni, addirittura uno scrittore tutto cultura americana famoso per la sua esterofilia, mi disse, che da ubriaco prendeva a recitare pezzi della Colonna infame come se fosse l’Italia di Bearzot82. […]

  3. […] che gli concede il privilegio di comandare evolvendo il ruolo che era stato suo in passato, ed  Enzo Bearzot che gli mette la dieci addosso e lo porta in Messico. Su questa storia Maradona lo prenderà molto […]

  4. […] della sua squadra. Quell’Argentina era forte anche se fu battuta dall’Italia di Enzo Bearzot con un gran gol di Roberto Bettega, che applicava Rilke: il futuro entra in noi molto prima che […]

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