Archivi tag: Gianni Celati

Immobilità, forse

«Perché» come ha detto durante la nostra passeggiata «l’immobilità uno non la vede mai. Ci pensa solo dopo di averla vista, quando sta per arrivargli addosso il tremore e tutto ricomincia a muoversi. Ma posso io convincere qualcuno che ho proprio visto l’immobilità con i miei occhi? No. Posso solo fare un paesaggio». Continua a leggere

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Pantani Marco, dieci anni

1625551_800356886648175_851881199_nPassava la nostra vita, scivolando via nei misteri delle bici. Provando a stare dietro agli scatti in salita di Marco Pantani, e per ogni volta che lui si alzava sui pedali, noi lasciavamo le sedie, le poltrone, i divani, e senza il peso tragico che solo le salite di montagna sanno dare, a tutto, persino ai motociclisti, respiravamo in apnea, insomma, nessuno si sognava nemmeno per un attimo di lasciarlo solo. Ecco era così, almeno a casa mia, e succedeva solo per lui e per la musica classica. Il resto erano banalità. Sì, persino il calcio, allora Maradona aveva smesso, ecco a trovare un legame tra tutto questo, potrei dire Usa ’94, no no che Pasadena e Baggio, prima viene Foxborough in Massachusetts e  Maradona con l’efedrina, poi Madonna di Campiglio ’99 con Pantani e l’ematocrito alto e con loro il requiem di Mozart. Continua a leggere

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Il blues del Po

Il Po è un blues per uomini soli, orfani di un mondo scomparso. A cantare è la voce di un pazzo, che attraversa paesi e città irrompendo nel silenzio di sperduti borghi, tenendo compagnia, volando nei campi, riempiendo giorni e notti: fra il frinire delle cicale, gracidar di rane e sgasi di trattori che arrancano rivoltando zolle di terra dura. Il suo è un lamento penetrante, nenia, che ricorda errori fatti, donne perdute, pesce cercato invano. È la vita che passa e gira, si perde e ritorna, sinuosa e incurante, specchio, sputo, ladro, giudice, testimone, accusa. Processo a cielo aperto, udienza continua, spada, mattini di nebbia e infiniti pomeriggi di sole. Piano piano entri nel suo lamento e in quello della sua gente. Devi stargli intorno come un chierichetto col parroco, assecondarlo, capire il rito, avere fede, e poi se hai cuore e fiato di stargli anche dietro senza perderti: impari ad ascoltarlo, e ne rimani rapito. Unisce più di uno stato, si porta dietro il fascino di una religione, ma a capirlo sembrano rimasti in pochi. I suoi 650 chilometri di bellezza negli ultimi trenta anni sono diventati una ferita, e tutti quelli che si avvicinano domandano solo del suo stato di salute, incuranti di quello che ha generato, ignorando le storie, le esistenze che trascina, le emozioni e le attese che ancora fortemente suscita. Continua a leggere

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